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Ricostruzione comune seppellendo i localismi

27 Novembre 2017

Articolo di Massimo Valentini

pubblicato da Il Resto del Carlino del 26.11 

 

Mentre il dibattito pubblico sovente è centrato su tematiche contingenti e di breve periodo, in questi anni stiamo assistendo a cambiamenti strutturali che possono essere giustamente definiti epocali. Anche nel corso del 2016 in Italia c’è stata una consistente diminuzione di popolazione con 86.000 persone in meno rispetto all’anno precedente. Abbiamo il più basso di natalità in Europa, un invecchiamento della popolazione progressivo e i saldi migratori non sono sufficienti a compensare questo calo. Nelle Marche la tendenza è ancora più accentuata in quanto nel 2016 i residenti sono calati di 5596 unità e il saldo migratorio è praticamente in parità in quanto abbiamo avuto un incremento di sole 143 unità. La media dei componenti delle famiglia nelle Marche è passato da 2,60 del 2003 al 2,37 del 2016. La situazione nelle aree terremotate sta assumendo in questo contesto i caratteri di un vero e proprio rischio spopolamento come ha puntualizzato l’ultimo Rapporto del Commissario per la Ricostruzione Errani, presentato appena prima delle sue dimissioni, che così recita: “ Il terremoto ha colpito 600 mila persone, il 25% dei quali con oltre 65 anni (la media nazionale è il 20,8%), e appena il 12% di under 14. In 107 di questi 140 Comuni, si legge nel rapporto, la popolazione è in forte calo «con tassi che in alcuni casi sfiorano il 30%» ”. La priorità per frenare lo spopolamento non può che vertere sul sostegno al lavoro in tali zone e sul ricreare le condizioni minime di abitabilità che purtroppo a più di un anno dal sisma sconta una grave ritardo nella consegna delle soluzioni abitative in emergenza che nelle Marche sembra che non abbia ancora superato il 15% delle necessità. Anche il citato rapporto del Commissario Straordinario rileva una serie di criticità rispetto al modello di intervento utilizzato per le caratteristiche del disastro che ha colpito l’area. Certamente occorre in primo luogo partire dall’elemento determinante per qualsiasi progetto di ricostruzione, ovvero la presenza di una comunità locale che resiste e che vorrebbe continuare a lavorare e a vivere in queste zone. Guardare questo soggetto, apprezzarne la sua determinazione, condividerne i suoi bisogni e desideri è la prima condizione necessaria per sostenere una ripresa di vita nelle aree terremotate nella consapevolezza che anche chi offre il proprio contributo è aiutato lui stesso a recuperare quella dimensione umana necessaria per poter vivere e costruire. La ripresa che poggia sul rilancio dell’impresa e del lavoro in quelle aree non può che necessariamente partire dalla valorizzazione di una vocazione territoriale che già viene apprezzata dal mercato, ovvero la fruizione turistica di una bellezza naturale e storica, la tipicità di una produzione agroalimentare di eccellenza e la genialità imprenditoriale di alcuni che hanno localizzato in quelle aree servizi e produzioni destinate non solo al mercato locale. In tale prospettiva diventano fondamentali gli interventi sussidiari a sostegno di queste persone che enti come le fondazioni bancarie già stanno svolgendo o di istituzioni pubbliche locali che possono utilizzare tutta una serie di strumenti, tra cui la Strategia delle Aree Interne che offre risorse a progettualità adeguate. Le opportunità ci sono e vanno utilizzate, occorre un nuovo slancio imprenditoriale sostenuto e un cambiamento nelle politiche locali in quanto il tema della collaborazione tra i piccoli comuni non è più rinviabile. Il bene di un altro, di una popolazione locale, richiede anche la capacità di fare un passo indietro, di collaborare con un altro, di abbandonare un localismo autoreferenziale per aprirsi alla bellezza di un dialogo e di una costruzione comune. Inoltre dobbiamo essere consapevoli del valore assoluto di uno che riparte, che non si arrende, che vuole continuare a soffrire e costruire per sé e la sua famiglia senza abbandonarsi alla sola sterile polemica. Il futuro è nelle mani di questi io che vivono così.
Di tutto questo parleremo nel convegno del prossimo 3 dicembre ad Amandola.

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